Castaldato di Antrodoco

Fondazione dell’Aquila

Fondazione dell’Aquila

info 2020-04-29

Antrodoco e la fondazione dell’Aquila


Stemmi dei castelli di Antrodoco alla Perdonanza Celestiniana 2014

Federico II favorì il desiderio di nuova vita (civitas nova) delle popolazioni del suo impero e promosse la revisione delle amministrazioni locali istituendo nel 1230 le “incastellazioni”, cioè la costruzione di castelli fortificati (castra) e l’accentramento intorno ad essi delle popolazioni del territorio circostante, il castaldato, con un duplice scopo: dare agli abitanti un rifugio contro le nuove ondate di invasioni saracene, ungare e normanne, e controllare i soldati (milites) dei diversi signori che avevano stipulato con i castellani patti di vassallaggio.
Grazie a questi patti il castello acquisiva il diritto e il potere di battere moneta, fare leggi proprie, imporre tasse (ad esempio sul macinato), dazi e gabelle, amministrare la bassa giustizia, contrattare con il signore (re, imperatore o altro) le condizioni per seguirlo in guerra… e questa era la situazione del “castello” di Antrodoco.
Va precisato però che per “castelli” si intendono semplici roccaforti militari che presidiavano il territorio, con la casa-torre del signore di turno, e le piccole case dei commercianti e dei feudatari che avevano in gestione temporanea lotti di terra affidati alla coltivazione di servi della gleba.
La riforma di Federico fece di tutto l’Abruzzo un’unica provincia, della quale Antrodoco era uno dei paesi più avanzati verso il territorio dominato dal Papato. Di qui la costruzione di una ben munita rocca di guardia (l’attuale Rocchetta) sulla cima della collinetta che sovrasta Antrodoco, da cui si poteva controllare il traffico di chiunque percorreva le strade sulle direttrici verso l’Abruzzo, verso il mare Adriatico o verso Roma.
Molti castelli nacquero anche sui monti e sulle colline della conca aquilana, sulla quale poi sorgerà la città de L’Aquila. La prima idea di una nuova città risale al 1229 quando gli abitanti, stanchi del pesante vassallaggio imposto dagli Svevi e dai Normanni, chiesero a papa Gregorio IX il permesso di fondare una nuova città, ma l’iniziativa non si concretizzò.
Nel 1254 venne ottenuto un nuovo permesso, di cui è rimasta testimonianza nel Diploma Federiciano (di recente attribuito però a Corrado IV, figlio dell’imperatore Federico II) conservato negli archivi cittadini dell’Aquila.
In esso si esortano i castelli degli antichi contadi a unirsi per formare un’unica grande città che doveva liberarsi dagli obblighi feudali nei confronti dell’Imperatore. Con questo documento si stabiliva che, “al fine di impedire a generici predoni, che davano manforte a quanti, traditori e ribelli, si schieravano contro l’Impero di penetrare nel Regno, nel luogo detto L’Aquila si costruisse una città”. Si liberavano da ogni obbligo feudale quanti si trovassero a vivere entro i suoi confini e si ordinava inoltre l’abbattimento delle rocche feudali.
Questa nuova città doveva assumere le connotazioni di un comune quasi libero sul modello di quelli altoitaliani (i comuni di Milano, Firenze, Ferrara, Venezia… erano già sorti quasi un secolo prima), ma ciò avverrà, nonostante le buone intenzioni, molto più tardi, quando la regina Giovanna I decise di togliere il potere alla nobiltà e darla alla borghesia (1380).
Una delle fonti narrative più importanti è la Cronicarimata di Buccio di Ranallo, testimone abbastanza prossimo, in quanto morto nel 1363. Egli dice:

“Lo cunto serrà d’Aquila, magnifica citade
Et di quilli che la ficero con grande sagacitade
Per non essere vassalli cercaro la libertade
Et non volere signore set non la magestade”.

A questo punto la storia della nascita della città si fonde con la leggenda. Sono contrastanti infatti le notizie riguardanti il numero dei castelli che contribuirono alla fondazione della città per cui la tradizione vuole che siano stati novantanove, ma il numero effettivo sembra essere sulla settantina.
La leggenda narra che ogni castello avrebbe fondato in città una piazza, una chiesa e una fontana, per un totale così di 100 piazze 100 chiese e 100 fontane, ma all’ultimo momento un castello rinunciò preferendo ritirarsi. Gli altri 99 castelli però avrebbero proseguito l’opera di costruzione della città, che così dall’epoca avrebbe avuto 99 piazze, 99 chiese e 99 fontane.
A ricordo della fondazione, la campana della Torre Civica batte ancora oggi 99 rintocchi e il primo grande monumento della città, la fontana delle 99 cannelle, contribuisce ad alimentare questa leggenda.
Sempre la tradizione vuole che la pianta originale della città ricalcasse quella di Gerusalemme e fosse divisa in quattro quarti (Santa Giusta, Santa Maria, San Pietro e San Giovanni). Ciascuno di questi quarti era, come lo è oggi, almeno secondo la tradizione della toponomastica, ripartito in piccoli locali di fondazione attribuiti ai coloni provenienti dai castelli, ai quali era consentito erigere una chiesa che sarebbe stata un duplicato della parrocchia dell’originale castello di appartenenza, nella quale essi avevano conservato le rendite e il possesso delle montagne. Poi c’erano quattro chiese capoquarto nelle quali il primato derivava dall’importanza socio-politica delle famiglie nobili o di origine mercantile che popolarono per prime i luoghi.
Anche il castaldato di Antrodoco contribuì alla fondazione della città de L’Aquila con sei castelli che fornirono, ciascuno di loro, diversi fuochi (famiglie) secondo il numero degli abitanti del castello.
Fecero parte del quarto di San Giovanni: Introducum o Antredoco (Antrodoco) con cinque fuochi, Cornu (Corno) con tre fuochi, Roccam de Cornu (Rocca di Corno) con dieci fuochi, Roccam Pescinalem (Piscignola).
Clusura (Cesura, sita tra Antrodoco e Micigliano di cui oggi si è persa traccia) con sei fuochi e Rocca del Funni (Rocca di Fondi) fecero parte del quarto di S.Pietro.
Il castaldato di Antrodoco fu quello che fornì il maggior numero di terre e famiglie delle quali negli antichi archivi sono riportati i nomi.

(Si ringraziano per il supporto documentario Franco Minelli e Pasquale Zangara)

Clarice Serani


Approfondimento: SIGILLO CIVICO DELLA CITTA’

Il castaldato di Antrodoco per aver contribuito in maniera più consistente alla fondazione della città dell’Aquila, fu sempre tenuto in particolare considerazione.
Una volta, poco dopo la fondazione, in occasione di un’invasione dell’Aquila, fu dato in custodia il sigillo civico della città, per evitare che fosse rubato, a un camerlengo avo dei Baroni De Nardis. Questi erano l’unica famiglia patrizia del castaldato interocrino, originaria del castello di Piscignola, e i suoi discendenti hanno conservato per secoli questo prezioso cimelio storico.
Nei decenni scorsi il calco del sigillo fu duplicato, con il consenso della famiglia, e il Comune poté utilizzarlo destinandolo esclusivamente agli atti del sindaco, e ancora oggi è così.
Recentemente il barone Angelo De Nardis, poco prima della sua scomparsa avvenuta nel 2019, ha consegnato il sigillo originale al Comune de L’Aquila perché lo conservasse nel suo patrimonio storico.
La famiglia De Nardis ha conservato il possesso delle terre di Piscignola nei secoli, ma nei primi anni ’80, sindaco di Antrodoco Domenico Pascasi, il Barone Angelo De Nardis ha donato quelle terre per 72 ettari, al Comune stesso. Per tale motivo egli fu insignito della cittadinanza onoraria.